Hoshigaki, kakishibu e le mille vite dei kaki

Il frutto di novembre in Giappone è senza dubbio il kaki e non solo quale frutto autunnale da mangiare fresco o secco, ma anche per le sue numerose proprietà, una volta trasformato.
Infatti, da secoli i kaki sono usati per produrre un caratteristico liquido marrone che rende carta e legno impermeabili e protetti da insetti.
Vediamo, in questo post, i diversi modi usi dei kaki.

Amagaki, shibugaki e le specie ibride di kaki

disegno kaki stile giapponese
I kaki sono rotondi, allungati, quadrati e intermedi fra queste forme.

In Giappone, ci sono molte varietà di kaki nate come linee ibride di due tipi principali: amagaki (kaki dolci) e shibugaki (kaki dal gusto astringente e non commestibili se non trasformati. Si dice gaki per eufonismo).

Io amo dividerli in base alla loro forma: kaki rotondi, kaki vistosamente appiattiti nella zona del picciolo, kaki oblunghi e kaki squadrati.

I kaki dolci, li si mangia come tali e spesso quando sono ancora molto duri. I kaki dal gusto astringente, invece, vengono trasformati in ottimi e pregiati hoshigaki.

Cosa sono gli hoshigaki

Hoshigaki appesi a seccare

I kaki appesi a seccare al sole sono una costante del paesaggio autunnale del Giappone. Li si vede sistemati in file verticali o orizzontali ovunque possono essere appesi: davanti alle finestre, sui balconi, appesi a tralicci, ai cornicioni delle case, in città e in campagna.

I kaki vengono messi a seccare privi della buccia e vengono massaggiati periodicamente in modo da fare affiorare in superficie l’umido ricco di sostanze zuccherine.

Gli hoshigaki sono una prelibatezza da mangiare accompagnati con il tè verde (e costano cari). 

A cosa serve lo kakishibu 

Dalla fermentazione dei shibugaki si produce un liquido dal caratteristico colore marrone detto kakishibu, dall’odore alcolico e pungente. Le sue proprietà idrorepellenti e indurenti, lo rendono un prodotto eccezionale per preservare carta e legno.


Nei secoli passati, il kakishibu era indispensabile per irrobustire e impermeabilizzare la carta che ricopriva gli ombrelli, quella destinata a pacchi e come rivestimento esterno e interno di cesti e casse.
La carta che serviva come katagami, la mascherina per il katazome (a destra in foto) era irrobustita con shibugaki.
Il katazome è una tecnica simile allo stencil in cui la zona vuota della mascherina viene coperta con pasta di riso al fine di rendere la zona impermeabile al colore.

Il kakishibu ancora oggi è ampiamente utilizzato per coprire il legno all’esterno che all’interno delle case. Il suo colore marrone caldo, lo chiamo “japan brown” a guisa dei più consolidati appellativi “japan blue” per la tintura con indaco e “Japan red” per la tintura con il bengara (ossido di ferro).
Quest’ultima l’abbiamo incontrata visitando il villaggio di Fukiya.

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