Sugaya-sannai, l’ultimo villaggio della tatara del Giappone

Nella città di Unnan, nel profondo entroterra della regione di Shimane, si trova il piccolo villaggio di Sugaya (Sugaya-sannai) dove dal 1751 al 1921 fu prodotto acciaio con la tecnica tradizionale della tatara.


Con il termine sannai si indica il villaggio attorno alla fornace e le cui caratteristiche sono descritte nel post che spiega il metodo della tatara al link sopra.

Sugaya-sannai è l’unico villaggio completo di takadono rimasto in tutto il Giappone.


Raggiungere la tatara di Sugaya non è scomodo. Lasciata l’auto al parcheggio si scende un viottolo che si snoda fra orti e campi e l’enorme tetto del takodono (la fornace) e il grande albero sacro catturano immediatamente la vista.
Intorno si sente solo il rumore dell’acqua dei ruscelli e del fiume.


La leggenda vuole che Kanayago, la dea del ferro, si posò su un albero di Cercidiphyllum Japonicum per insegnare l’arte della tatara agli uomini. Pertanto, questo tipo di albero è considerato sacro.

villaggio-sugaya-sannai
Sugaya sannai, il takadono e l’albero sacro dove si posò la dea Kanayago

Alla fine del sentiero si arriva a una via fiancheggiata da abitazioni, dal vecchio edificio in cui abitavano i capi operai della tatara, il kura dove si teneva il riso, motogoya cioè un ufficio amministrativo e munito di spazio dove avveniva la frantumazione del prodotto finale della tatara e, infine, ci si trova di fronte al takadono di Sugaya sannai.


Dietro all’edificio ci sono il tempio alla dea Kanayago, il fiume e le montagne sbancate. Sulle montagne paia ci sia ancora traccia dei canali del kanna-nagashi con le cui acque, la sabbia veniva grossolanamente frazionata e portata a valle dalla corrente del fiume.

L’interno dell’edificio della tatara di Sugaya

Visto al suo esterno, il takadono di Sugaya, con il suo tetto in scaglie di castagno, è veramente imponente.
Incute un sentimento di soggezione e rispetto.

Passata la piccola porta di legno ci si trova dentro a uno spazio molto ampio con pavimentazione in terra battuta.
Al centro co sono la fornace in terra battuta e due mantici a turbina, mentre attorno al perimetro troviamo i vani in cui veniva accatastato il carbone, si preparava la terra per la ricostruzione della fornace (che non resisteva a più di un processo di estrazione), i lavoratori si riposavano.

fornace-mantice-tatara
Interno dell’antica fornace di Sugaya

Alzando gli occhi ho visto una cosa che non avevo mai visto prima: travi murate.

Il signore che mi accompagnava mi spiegò che le travi venivano rivestite di terra perché il legno non bruciasse quando la fornace era in funzione.

Nella penombra del takadono è facile immaginare il crepitio del fuoco, la calura, il rumore dei mantici e della combustione. Allo stesso modo è facile sentire le voci degli addetti alla fornace, ora tranquille e ora concitate, mentre il fronte della colata avanza uscendo da un buco vicino al suolo.

Detto questo non mi è difficile comprendere come Miyazaki Hayao, ispirandosi proprio a questo takadono, creò la città del ferro di Mononoke no hime (La principessa Mononoke).
Nel film però i mantici erano ancora quelli a pedana (tenbin fuigo usati nel XVII-XVIII secolo), che furono soppiantati almeno nella tatara di Sugaya da quelli a turbina nel 1906.

La tatara di Sugaya in numeri

▹ La tatara del sannai di Sugaya funzionava circa 60-70 volte all’anno, prettamente nel periodo invernale. Ogni fusione durava tre giorni, cinque contando la costruzione della fornace.

▹ Per ogni fusione si consumavano 12 tonnellate di sabbia ferrosa, 13 tonnellate di carbone e si producevano 3 tonellate di kera (l’aggregato ferroso).

▹ Dalla kera si frazionavano pezzi, che a seconda della purezza del ferro e contenuto in carbone, venivano utilizzati per forgiare oggetti diversi, dagli strumenti per l’agricoltura e gli utensili per la cucina alle pregiate katane.

▹ Solo il 20% del prodotto totale costituiva la tamahagane, la materia prima usata per la forgia delle katane.

4 pensieri riguardo “Sugaya-sannai, l’ultimo villaggio della tatara del Giappone

  1. Vi ringrazio per i vostri commenti. Mi riempiono di gioia e mi danno sicurezza. A volte mi chiedo se ciò che scrivo possa veramente interessare, se riesco a descrivere ciò che ho visto, cosa ho provato. Questi vostri commenti sono cosa preziosissima per me.

  2. come sempre minuziosa ed interessante ricostruzione di un’attività oramai obsoleta. grazie per questi approfondimenti!

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