Il giorno del bambino (子供の日 kodomo no hi) in Giappone nasce nel 1948 e si celebra il cinque di maggio per augurare salute e felicità a tutti i bambini, senza distinzione di sesso e ai loro genitori.
La festa fu introdotta nel dopoguerra insieme a una serie di misure atte cancellare il passato marziale della nazione.
Kodomo no hi, infatti, cade nello stesso giorno in cui si celebrava il tangu no sekku: una festa antica che, nel corso dei secoli, si era trasformata in mera occasione per ostentare il valore militare e propiziare salute, forza e coraggio ai bambini (maschi).
Tuttavia, al di là delle innovazioni fatte a tavolino, il giorno del bambino continua ad essere dedicato ai bambini maschi in quanto fonda le proprie radici nei costumi del tangu no sekku.
È da questa festa antica che derivano le tradizioni legate al giorno del bambino.



Poco prima del kodomonohi , nei supermercati la gente compera foglie di shobu, una pianta della famiglia degli iris (ma il cui fiore non è come l’iris) e i dolci tipici dell’evento: kashiwa mochi e chimaki. Entrambi i dolci sono fatti di riso mochi (riso glutinoso). Kashiwamochi è avvolto in foglie di quercia; Chimaki è avvolto in foglie di un tipo di bambù (in giapponese sasa).

All’esterno, strane maniche a vento a forma di carpa (koinobori) sono ubiquitarie mentre, nell’intimità delle case, vengono esposti elmetti da guerra (kabuto) e bambole di maggio (gogatsu-ningyō).
Alla sera del giorno della festa del bambino, le foglie di shōbu vengono messe nell’acqua del bagno per propiziare salute e scacciare le influenze maligne da chi entra nella vasca.
Le tradizioni odierne acquistano un senso solo se si conoscono le tappe evolutive dell’antica celebrazione del tangu no sekku.
Vediamole insieme.
Il tangu no sekku e i riti di purificazione

Tangu no sekku arrivò in Giappone dalla Cina nel secolo VIII.
Era incentrato su riti di purificazione per i quali si faceva uso di erbe medicinali.
Fra le varie erbe, Acorus calamus, lo shōbu, era ritenuto particolarmente efficace nello scacciare gli spiriti malvagi (quindi anche le malattie), tanto che la festa prese il nome di shobu no hi, il giorno dello shōbu.
Il potere dello shobu è arrivato nelle nostre vasche da bagno ma non ci sono pervenute altre tradizioni come quelle raccontate dalla dama di corte Sei Shōnagon nella sua opera Makura no Sōshi (In italiano Note del guanciale) scritta intorno all’anno 1000: quella di appendere palle di erbe e fiori ornate di nastri (kusudama), di confezionare copricapo ornati con lo shobu e di ornare i tetti (allora in paglia) con shōbu e artemisia per purificare le abitazioni.
Il tangu no sekku coincideva con il periodo della pulizia delle armature
L’esposizione di kabuto (elmetti da guerra) dei nostri giorni risale al periodo Kamakura (1192–1333), quando i samurai presero il controllo politico del Paese.
A quel tempo kabuto e armature da guerra venivano esposte nel giorno del tangu no sekku per la necessità di pulire l’apparato bellico prima dell’inizio della stagione delle piogge (giugno).
Da questo periodo, l’esposizione delle armi divenne pretesto per ostentare il valore militare e i riti per scacciare il male furono occasione per propiziare una crescita forte e virile ai figli maschi.
È in questo periodo che la pianta di shōbu (菖蒲) divenne pianta simbolo dei samurai in virtù dell’omofonia con una parola (尚武) che vuol dire spirito guerriero. Forse anche per questo la tradizione del bagno nello shōbu è arrivata fino a noi.
Il periodo Edo e l’elogio del coraggio militare
Sotto la guida del clan Tokugawa, periodo Edo (1603–1867), l’esposizione dell’apparato da guerra divenne lussuosa e fine a se stessa.
I samurai, ormai ridotti a meri amministratori alle dipendenze dei Tokugawa, trovarono nell’esposizione dell’apparato bellico un mezzo per rivendicare i valori di un identità perduta e trasmetterli ai propri figli.


In questo periodo, l’apparato espositivo dei kabuto e armature si arricchisce di frecce e di stendardi (e-nobori) con disegni, araldi di famiglia e scritte; compaiono e fioriscono le importanti musha ningyō su cui ho scritto un intero post: vai al post sulle bambole guerriero.
Dai fukinagashi (ne vedete uno rosso a destra della prima figura) nacquero i koinobori.
La restaurazione Meiji e la negazione della cultura dei samurai
Nel periodo della rivoluzione Meiji (1868–1912), in cui il Giappone abbraccia la cultura occidentale ripudiando il retaggio feudale, termina la produzione delle musha ningyō come tali.

Le bambole guerriero perdono progressivamente il realismo del viso, la bellicosità e vengono soppiantate dalle gogatsu ningyō (bambole di maggio) usate anche ai nostri giorni.
La festa del bambino dei nostri giorni
Eccoci arrivati alla festa del bambino odierna.
La tradizione di issare i koinobori è l’espressione più conosciuta e appariscente del giorno del bambino. Tuttavia i koinobori erano già presenti nel periodo Edo.
Come vi ho anticipato nell’introduzione, accanto ai koinobori, almeno un elemento fra kabuto e gogatsu ningyō viene esposto nelle case dove ci sono bambini maschi. Le armature, non le si compra più ma le si vede esposte in eventi pubblici organizzati dalle città con il materiale donato dai cittadini.

Nonostante l’elmetto sia un oggetto per la guerra, la sua percezione in quanto tale pare assente nei Giapponesi.
I commessi nei negozi di bambole e kabuto mi hanno detto che i nonni comprano gli elmetti e li scelgono perché è tradizione; è sempre stato così. Alla mia domanda rispetto al significato marziale degli stessi sono rimasti interdetti, come se la mia domanda fosse del tutto inaspettata.
È tradizione hanno ribadito senza imbarazzo.

Le gogatsu ningyō sono bambole che rappresentano eroi delle leggende e della mitologia.
Un tempo l’intero apparato constava di vari accessori ed era allestito su una scala a due o tre piani ma lo spazio ristretto delle case moderne ha dettato la scomparsa delle scale e la riduzione degli oggetti.
Tuttavia, nelle case dei nonni , se in campagna, c’è spazio per tutti i nipoti, per la gioia dei nonni!
Gli ubiquitari koinobori
I koinobori sono forse l’espressione più conosciuta della festa del bambino.


I koinobori sono delle maniche a vento a forma di carpa (puoi vederle ingrandite cliccando le singole foto della figura sopra).
Koi è la carpa e nobori indica l’atto di risalire.
Le carpe risalgono i fiumi con forza, vigore e coraggio e si spera che i nostri figli possano superare le difficoltà della vita con lo stesso vigore e salute.

I koinobori sono issati su un’asta di varia altezza. Possono essere alti fino a oltre il tetto di una casa o così piccoli da stare su una mensola oppure possono essere fissati alla ringhiera del balcone o ad attraversare le valli.
Le carpe ondeggiano al vento e sono di enorme effetto scenografico con i loro colori e le loro forme che cambiano sinuosamente a seconda della direzione del vento.
La prima carpa è nera e grande e rappresenta il papà; la seconda carpa è carpa rossa ed è la mamma e poi seguono tante carpe piccole quante sono i figli maschi della famiglia.
In questo senso i koinobori sono l’unico elemento che incarna lo spirito della festa del bambino del dopoguerra.
Rimango sempre incantata a guardare i koinobori al vento. Se la folata è debole si muovono solo la coda e le pinne, leggere come fossero dei veli. Se invece il vento è forte, il movimento della testa si propaga a tutto il corpo e pare che le carpe salgano sinuosamente nel cielo.
Prima della carpa nera c’è una manica a vento il fukinagashi simile a quello che si usava nei periodo antico.


Molte città e comunità di campagna adornano le strade e le valli con tanti koinobori, in genere donati dalle famiglie che non ne fanno più uso. L’effetto scenografico è notevole.