In questo post vi porto ad assaggiare due dolci tradizionali di Kyōto a base di mochi.
Più precisamente, andiamo a visitare tre negozi storici: Kazariya, Ichimonjiya Wasuke e Awamochidokoro Sawaya in cui mangeremo aburimochi e awamochi fatti secondo la ricetta originale di mille anni fa.
Il mochi è un tipo di riso glutinoso che viene cotto a vapore e poi pestato fino ad ottenere una pappa più o meno compatta.
Ti servirà sapere che:
- miso è una pasta di soia fermentata;
- le mochiya sono i negozi in cui puoi mangiare dolci a base di mochi;
- kinako è farina di soia;

Una particolarità di queste mochiya è che i dolci vengono preparati davanti agli occhi dell’avventore.
Andarvi a fare merenda è come fare un salto nel passato ed è una delle cose che più amo fare quando vado a Kyōto.
Magari d’inverno al tepore della stufa.
Il gusto antico dell’aburi-mochi
Non c’ è bisogno di ritoccare le fotografie per creare un’atmosfera di altri tempi alle mochiya Kazariya e Ichimonjiya Wasuke, conosciuta anche come Ichiya.
Il colore caldo del legno, gli abiti delle signore che lavorano il mochi, la vecchia kama di metallo nero, tutto ci porta in dietro di secoli se escludiamo la presenza delle lampadine e dei ventilatori al posto di cendele e mantici.

Poste l’una di fronte all’altra, le due mochiya offrono lo spettacolo della preparazione dell’aburi-mochi.
Amo guardare le lavoranti mentre, veloci, spezzettano il mochi e lo infilano in stecchi di bambù, che poi posano sulla brace tenendoli in mano come fossero mazzi di fiori.
Il profumo intenso del riso abbrustolito satura la via e invita all’assaggio.
Allora, non posso evitare di sedermi a gustare il mio piatto di aburimochi servito con una salsa a base di miso dolce e kinako.

Il gusto dolce-salato della combinazione miso-kinako-zucchero è smorzato da quello amarognolo delle parti tostate del riso e dal gusto un po’ secco del te verde che lo accompagna. È un gusto dal carattere deciso ma, allo stesso, tempo delicato.
Certo, pare una contraddizione ma è ciò che rende interessante l’aburimochi.

La ricetta dell’aburi-mochi fu creata nel 1002 dal signor Ichimon proprio nel luogo dove oggi si trova Ichimongiya Wasuke. Il mochi era, dapprima, offerto alle divinità del vicino tempio shintoista Imamiya in tempo di carestia e peste, poi, veniva tostato e dato ai pellegrini in cambio di una mancia.
Oggi, Ichimonjiya Wasuke è di proprietà della venticinquesima generazione dei discendenti di Ichimon. L’edificio è composto di varie parti costruite fra i secoli XVII e XIX.
Il vecchio pozzo con la cui acqua veniva fatto il mochi in origine è ancora funzionante ma non più utilizzabile per motivi igienici.
Kazariya invece è in attività dal secolo XVI.

Le due mochiya si trovano sul lato est del tempio Imamiya. Il gusto del loro aburimochi è leggermente diverso, meglio visitarle entrambe!
Awamochidokoro Sawaya

Awamochidokoro Sawaya prepara i tradizionali dolci a base di mochi dal 1683 e si trova proprio davanti al grande torii del tempio shintoista di Kitano Tenmangu a Kyōto, di cui vi ho scritto qualche post fa.
Questa mochiya produce awa-mochi cioè mochi con dentro il miglio.

Il locale è piccolo, con pochi tavoli in legno e davanti agli occhi dei clienti il mochi, ancora caldo, viene appallottolato fra le mani e rivestito di pasta di ankō (fagioli azuki cotti).
Talvolta, si può sentire il rumore del mortaio che pesta il mochi nel retro del negozio.
Il mochi appena fatto di Awamochidokoro non ha paragone con niente altro. È vellutato, è come una carezza al palato e non si appiccica ai denti

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Ancora tiepido, cola leggermente nel piatto quando lo si rompe con l’apposito stecco di bambù. Il rivestimento di ankō o di kinako ha un sapore molto delicato e non copre totalmente il dolce naturale del riso.
I piccoli semi di miglio di colore giallo pallido sono visibili fra il mochi bianco e con la loro ruvidezza mitigano il carattere un po’ colloso proprio della pasta di riso e ti lasciano al tavolino con una sensazione di assoluta felicità.


Le parole riescono a farti sentire i sapori? Quelle di Nico sembra di sì. Descrive queste prelibatezze con assoluta precisione e coinvolgimento. Inoltre il tempo si percepisce con la fluidità del suo trascorrere lento e immutabile. Una condizione rara e preziosa. Grazie Nico.
Grazie a te di leggermi!