In Giappone, novembre è il mese dei colori dell’autunno, colori la cui bellezza tutti voi conoscete perché l’autunno ha colori stupendi dovunque vi troviate.
Ma allora, cosa fa, dell’autunno in Giappone, qualcosa di tanto particolare da attrarre visitatori interni al paese e forestieri?
Sono i suoi colori particolarmente intensi, tanto intensi da sembrare finti, tanto forti da fare pensare che siano stati saturati nei processi di manipolazione post-scatto delle foto.



Le foglie dell’acero giapponese sono di colore rosso vivo; un bosco di aceri giapponesi è come un incendio, fiammante; le foglie della ginko biloba sono giallo puro.
Ogni anno mi stupisco, e messi a parte ragionamenti scientifici, mi chiedo come sia possibile che foglie verdi si trasformino così tanto. Ogni anno è stupore, è voglia di immortalare il momento.
Ma attenzione, non tutti gli aceri sono di fuoco: alcuni hanno le foglie gialle, altri non danno spettacolo.
Altri fattori che determinano la peculiarità dei colori dell’autunno in Giappone sono: l’ubiquità e la densità delle piante di acero, che creano vaste macchie rosse, e la loro coesistenza con le conifere e le ginko biloba a formare associazioni cromatiche rosso-verde, giallo-rosso.

In Giappone, vivere le stagioni a pieno e attraverso i loro simboli è un modo di essere grati alla natura e allo scorrere del tempo.
Quando l’autunno è al suo sakari, climax, le foglie d’acero diventano ubiquitarie, non solo sugli alberi, ma anche sui kimono sotto forma di ricamo, a tavola come tempura, sono la forma dei dolci e l’ornamento dei piatti.
Le trovi disegnate sulla cancelleria, sulle cartoline e, di plastica, a fare festa ai lati delle strade commerciali.
In ogni forma esse siano, le foglie d’acero simboleggiano l’autunno e il colore rosso del suo fogliame.
Lo spettacolo delle foglie tinte di rosso si dice kōyō in giapponese.
Kōyō è una parola formata da due ideogrammi : kō 紅 e yō 葉 che significano beni e foglia, rispettivamente.
Il beni è un pigmento rosso che si ottiene dai fiori del cartamo e che, nell’antichità, era il rosso per antonomasia. Con beni venivano tinte le stoffe (dei nobili) e confezionati i rossetti.
Kōyō, pertanto, è da sempre il foliage rosso dell’autunno.

Un secondo modo di leggere kōyō (紅葉) è momiji da momiru, cambiare colore.
Momiji è una parola usata in letteratura e nel linguaggio quotidiano per indicare il virare delle foglie verso il rosso, e poiché il rosso dell’acero è prepotente, spesso momiji riconduce alle foglie dell’acero.
Tuttavia, quando momiji indica la foglia d’acero, la parola acquista un valore simbolico, rappresentativo dell’autunno e dei suoi colori. incarnati dalla foglia stessa.
L’acero cerde o rosso che sia si dice kaede..
Le foglie dell’acero giapponese hanno una graziosa forma a sette punte e mi piace pensarle come piccole mani, che salutano ondeggiando quando c’è un po’ di vento. C’è però chi le ha viste come zampe di rana perché il nome kaede deriva dall’antico kaheru de, mano di rana, proprio per la forma palmata delle foglie.
Sulle montagne, la natura dosa sapientemente il rosso con gli altri colori dell’autunno tanto da fare apparire le pendici come coperte da un broccato, che attira e commuove visitatori da secoli.

Onestamente, non so se la foto rappresenti davvero il broccato (momiji nishiki) che ha ispirato molti artisti e poeti del Giappone antico, ma sicuramente non era formato solo dai colori dell’acero. Un tempo, i Giapponesi ammiravano un altro albero, liquidambar formosana, che si scrive come kaede e che si colora di rosso.
Chissà come sarà stato il momiji nishiki che commosse Sugahara Michizane. In un celebre poesia, un tanka, lo ritenne appropriato quale offerta alle divinità dei monti, quanto era bello.
C’è un post dove puoi sapere di più su Sugahara Michizane.
Andare a vedere la bellezza di momiji si dice momijigari e fare momijigari (letteralmente andare a caccia di foglie colorate) è per i Giapponesi importante come fare hanami, ammirare i fiori di ciliegio, di cui ho scritto nel post sui sakura.
Come hanami, momijigari nasce nel periodo Nara (710-794) all’interno della corte imperiale e della nobiltà e occorrerà aspettare il periodo Edo (1603-1868) perché anche la gente comune possa godere della bellezza delle colline infuocate.
Oggi momijigari è ancora un appuntamento sentito. Lo si fa passeggiando sui monti, in collina, nei parchi, nei giardini dei numerosi templi, con il naso all’ in sù e facendo foto.

C’è chi passeggia in kimono, spesso in tinta unita e dalle tonalità tranquille, ornato a volte da disegni di foglie d’acero, soprattutto sull’obi.
Le dame del secolo X, invece, vestivano l’autunno a corte indossandone i colori sgargianti con una serie di vesti poste l’una sopra l’altra. Le vesti lasciavano intravedere la combinazione cromatica sul collo e alla fine delle maniche.
Potete vedere la veste guardando quella primaverile delle Hina nei post ad esse dedicati (basta cercare hina nella casella della ricerca del blog).
Se ci pensate, il fiorire veloce dei sakura e il lento colorirsi delle foglie autunnali rispecchiano, nella loro essenza, l’irruenza della giovinezza e la pacatezza della senilità, che trovano la loro metafora nella primavera e nell’autunno.

Lo spettacolo autunnale ci ricorda la caducità della vita, ma i Giapponesi sia guardando momiji che i sakura indugiano sulla loro bellezza, sul cambiamento stagionale o della vita che verrà, e non sulla brevità del momento bello ma già permeato di nostalgia.
I Giapponesi si godono lo spettacolo con gratitudine: gli aceri fanno un breve pisolino con la promessa di una nuova fase della vita racchiusa in bellissime foglie verdi.

